Da oggi, se ti interessa la musica, non puoi non seguire:
Dalle fervide menti di Zuck e Poldo!
L'archivio delle mie prime cure
Da oggi, se ti interessa la musica, non puoi non seguire:
Dalle fervide menti di Zuck e Poldo!
Is the music calling for a river of blood?
You better get some sleep tonight
You better get some sleep tonight
Honey, just warn your friends
You better get some sleep tonight
Poi mi sono tirato fuori. Sono tornato. Magari è stato merito di quell’ordinanza del giudice, oppure merito tuo, oppure del gruppo, cioè ancora merito tuo. E ho ricominciato a vivere, a prendere in mano la mia vita. E anche il gruppo, naturalmente. Piano, piano la mente mi si è liberata.
E adesso, mi dici che vuoi far da solo. Proprio adesso che sono tornato. Che sono lucido. Oppure proprio per questo? Non vuoi che qualcuno discuta la tua linea? E il gruppo? Lo sai che c’è chi è caduto nel fosso dove stavo io prima. Va bene, fai da solo, intanto lo so che non combinerai nulla di buono. Senza di me, senza il gruppo.
Sai che ti dico? Fatti una dormita, Mick.
Non per fare il polemico ad ogni costo, dottore, ma quanti hanno scritto parole commoventi sul loro blog sulla morte di Syd Barrett ricordano una sua canzone? Non dico nelle versioni Ummagummiche e posteriori dei Pink Floyd post-syd, dico una canzone da The piper at the gates of Dawn.
Secondo me pochi pochi pochi.
Questo perché Il primo disco dei Pink Floyd e l’unico, o quasi, con Syd vivo e vegeto e non vegetale, è un disco difficile, lontano anni luce dalla soft musica intellettual-sottofondo da baccaglio che hanno prodotto i suoi compari all’apice del successo. Lontana anni luce nel senso che, mentre la musica dei Pink Floyd anni settanta si libra tre metri sopra il cielo (in certi casi con la profondità dell’omonimo romanzo) per psicoanalizzare il bassista, le composizioni su The piper stanno in una galassia lontana, a flirtare con una supernova e un sole morente (purtroppo ci stava anche la mente di Syd e non è più riuscito a tornare) per poi tornare fugacemente sulla terra per farsi un giro su una bici, parlando di gnomi e spaventapasseri.
Per fare un esempio, in modo che anche lei dottore possa capire, se io, imberbe teenager, avessi invitato una squinzia in camera mia, e, spenta la luce, avessi messo The dark side of the moon sul piatto, sarei potuto passare per l’intellettuale olofonico che poteva cedere ai piaceri della carne. Se invece avessi messo The piper at the gates of dawn sarei passato per un pazzo appassionato di satanismo con una vena bambinesca che cercava di stuprarla.
Comunque, addio Syd.
Rock trip (Powder) è un romanzo di Kevin Sampson, giornalista freelance ed ex manager di indie band (The Farm).
Proprio per questo la storia dell’ascesa e caduta del gruppo rock The Grams è resa con vivida precisione.
Il libro narra, appunto, la storia della formazione composta da Keva, cantante e leader, da James Love, pseudonimo quanto mai azzeccato del chitarrista, dal batterista Beano e dal bassista Tony Snow, amici inseparabili, del loro manager Wheezer e del loro produttore Guy deBurret.
Sesso, droga e Rock’n’roll, ma non solo, anche paranoie, paura di invecchiare, idealismo e voglia di mollare tutto. Una buona lettura, non molto impegnativa, che illustra con veridicità cosa può agitarsi nella mente, nei pantaloni e su per le narici di un gruppo di ragazzi lanciati verso la fama.
La prima parte è coinvolgente nel suo tratteggiare tutti i personaggi, mentre la seconda mi è sembrata un po’ tirata per i capelli. In definitiva, come la band di cui descrive la parabola, il libro inizia con le premesse per fare il botto e poi fa un mezzo flop.