In memory of Grant McLennan

Dottori, dei Go-betweens non conoscevo nulla. Sì, certo, acquistando il Mucchio li avevo già sentiti nominare e apprezzare come artefici di un pop-rock cristallino nell’epoca dei sintetizzatori anni ’80.McLennan
Non avevano avuto la fortuna dei cugini inglesi Smiths di cui condividevano l’amore per le melodie chitarristiche e la letteratura. Loro, australiani e proprio per questo più affascinanti, avevano sciorinato una serie di 33 giri, da Send me a lullaby  a 16 lovers’ lane, che avevano fatto la gioia dei cultori del pop degli anni 80. Soprattutto di quello sfortunato, quello che, pur avendone tutte le potenzialità, non ha mai raggiunto le vette delle classifiche.
Gli anni novanta avevano visto scomparire ogni traccia del gruppo, che si poteva riassumere in due persone, come tutti i grandi gruppi. Lennon-McCartney, Jagger-Richards, Partridge-Moulding e, per i Go-betweens, Forster-McLennan.
Ma come una buona semente, all’albore del nuovo millennio, la pianta australiana ah cominciato a dare i propri frutti, nello specifico una serie di gruppi che, più o meno dichiaratamente, si rifacevano ai Go-betweens. Primi fra tutti, osannati da ogni snob che si rispetti, i Belle and Sebastian. E allora, cari dottori, i Go-betweens hanno ricominciato a publicare dischi. Di The friends of Rachel Worth (2000) mi capitò di sentire Magic in here, di una semplicità disarmante, mentre di Bright Yellow Bright Orange (2003) sentii la lenta evoluzione di Too much of one thing.
Così, quando uscì Oceans apart (2005), ne acquistai, senza nessuna esitazione, la versione deluxe, con un dischetto dal vivo in più. E non avevo sbagliato, cari miei.
Un disco superbo, con almeno un paio di capolavori, la perfetta Here comes the city e la dolcissima No reason to cry. E le performance dal vivo sul bonus cd non facevano altro che confermare la bontà del resto della loro produzione.
Ed ero pronto ad acquistare ogni loro nuovo cd. Ma non potrò, perché, nella brutta notte del 6 Maggio, Grant McLennan è morto nel sonno.
Con lui se ne è andato uno dei più grandi songwriter degli ultimi trentanni. E se ne dubitate, ascoltate un qualunque loro disco, oppure chiedete agli U2, a Carolina di Monaco, a Jonathan Demme, a Ed Norton o Glenn Close.
Oppure chiedetevi perché una company della serie 24 si chiama Forster-McLennan.

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