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Quando si dice la fortuna…

Sono appoggiato mollemente al lampione, in attesa dell’autobus 45, quando sento uno schiocco e una specie di frescura che mi inonda la testa; alzo lo sguardo verso il cielo per capire cosa sta succedendo e vedo lui, il piccione che mi ha appena cagato in testa, che ostenta indifferenza. Turbato, ma sicuramente grato al volatile che mi ha appena omaggiato di cotanta fortuna, estraggo il mio fazzoletto e, canticchiando un motivetto di ringraziamento per gli dei del cielo, certamente non estranei all’evolversi degli avvenimenti in questa valle di lacrime, comincio a pulirmi la capoccia.
Una volta sul treno penso: perche’ non condividere questo momento di gioia con i miei abituali compagni di treno?
Poi decido di custodire gelosamente nel mio intimo questo segreto, potrei suscitare in loro una giustificata invidia.
Senonche’, arrivato in ufficio, devo spiegare ai miei colleghi la ragione per cui la mia capigliatura, di solito in forma come appena uscita dal parrucchiere delle dive, e’ bagnata ed in disordine: sono dovuto recarmi in bagno per continuare il rituale di buon augurio con il lavacro della parte inondata dalla sorte benigna e l’abluzione del fazzoletto che primo tocco’ il sacro guano.
A questo punto il rituale e’ completo: il segreto e’ disvelato e i miei colleghi, con squillanti risate di gioia, mi augurano che il prossimo volatile che si prendera’ la liberta’ espletativa sia un gabbiano.