Regali di Natale
The dream syndicate – Live at Raji’s – 1989
Dopo quaranta secondi di attesa e di presentazioni: “Ladies and Gentlemen, here are the fabulous Dream syndicate” e parte la chitarra distorta con il meraviglioso attacco di “Still holding on to you“, e siamo dentro al Raji’s – Hollywood California, insieme al gruppo di Steve Wynn, autore di canzoni in cui rock, rumore e romanticismo si mescolano in un calderone infernale.
Sentiamo la tecnica, la passione e il sudore di una esibisione senza risparmio fin dalle prime note del riff.
“Nessuno uscirà vivo di qui” parafrasando una biografia del Re Lucertola, sembra urlare la chitarra di Paul B.Cutler incrociandosi con quella del leader, o perlomeno non uscirà di qui la stessa persona che era entrata.
E, alla fine del primo pezzo, hai già voglia di premere il tasto repeat del telecomando del lettore, ma “Forest for the trees” inizia prima che ti sia ripreso ed è obbligatorio avventurarsi in questa foresta.
La filastrocca distorta di “Until lately” prelude al ritmo sferragliante di “That’s what you always say“, un pezzo del primo disco della band “The days of wine and roses”, farcito di assoli dissonanti.
È il momento di “Burn” e, dopo pochi secondi di intro chitarristico, i poveracci che, come il sottoscritto, non sanno strimpellare una chitarra, si ripromettono di imparare al più presto, per poter esprimere tutto quello che hanno dentro, tutti i sentimenti che grondano dal proprio cuore inascoltato, tutta la rabbia che attanaglia i propri nervi non sfogati.
Poi, tutti calmi, è il momento di “Merrittville“. Chi ci ha lasciato da soli, d’estate, in questa cittadina, e perché? È la voce che lo chiede, ma è la chitarra che ti fa sentirne lo strazio.
E ritornano i giorni del vino e delle rose: caos e ritmo, ballata e urla, assoli e feedback. “The days of wine and roses” ci trascina al delirio visionario di “The medicine show” quasi nove minuti di psichedelia e ripartenze, di corde grattate e distorsioni oniriche su un ritmo ossessivo.
Non possono continuare, loro sono allo stremo come noi che ascoltiamo, ma riprendono, esplodono come James Brown nei suoi concerti, ma senza scadere nella farsa.
Dalle nebbie del Medicine show si arrive ad “Halloween“, ballata acida in cui la voce di Wynn perde la tramontana e urla scomposta, trascinando con se’ tutti gli strumenti.
“Boston” è la canzone che Bruce Springsteen scriverebbe se avesse amato di più Neil Young, un magnifico inno che ti costringe a gridare con loro “I don’t wanna be here anymore”.
Per “John Coltrane stereo blues” entra anche l’armonica di Peter Case ed è il gran finale sia di un concerto memorabile sia di un gruppo che ha reinventato il rock negli ottanta del trionfo pop.
Steve Wynn continuerà come solista o in fugaci esperienze di band (i Gutterball) a portare il suo stile cantautorale e chitarristico fino ai giorni nostri, tra l’ altro “Here come the miracles” del 2001 è un capolavoro, ma la purezza e l’ingenuità che traspaiono nei solchi di questo live non si ripeteranno mai più.
Ma perchè la sera del 31 Gennaio 1989 non eravamo ad Hollywood California, al Raji’s?
Un commento su “Regali di Natale…”
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ma che bel paisley post. (aleph)