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Il giorno dopo che il mio primo amore mi…

Il giorno dopo che il mio primo amore mi lasciò (fu un in un lungo pomeriggio su un binario della stazione di una riviera, ma non è di questo che voglio parlare ora, dottore) acquistai, come consolazione, il supremo metodo di consolazione, tre dischi. Erano The queen is dead dei The smiths, Born Sandy Devotional dei Triffids e Rattlesnakes di Lloyd Cole and the Commotions.
Tutti dischi, indubbiamente, adatti ad un ragazzo appena mollato, ma mentre il disco degli Smiths conteneva capolavori (la titletrack, Bigmouth strikes again, There is a light that never goes out) e canzoni che a me parevano imbarazzanti (Never had no one ever, I know it’s over, Some girls are bigger than others) e quello dei Triffids fu presto dimenticato, Rattlesnakes mi entrò immediatamente nel cuore.
Fu con quel disco che mi innamorai delle canzoni di questo introverso artista, che sembrava cercare una terza via tra il rock d’autore e la ballad orecchiabile. Gli intrecci chitarristici di Perfect skin, Charlotte street, Speedboat e Four flights up, l’uso delle orchestrazioni nella titletrack e in Down on mission street, i sentimenti di Forest fire, Patience e Are you ready to be heartbroken? (titolo quanto mai catartico per uno appena mollato) mostravano come si potevano miscelare tutti gli elementi che il pop ed il rock hanno in comune e tirarne fuori un prodotto di qualità superiore. Infine c’era 2Cv, una canzoncina (una filastrocca direi) che mostrava cosa si poteva fare con una chitarra acustica ed una bella voce.
Al momento della sua uscita, il disco ebbe un ottimo successo di pubblico, migliorato dal suo successore Easy pieces, disco meno riuscito che contiene Brand new friend, Lost weekend, Cut me down. Ma Cole e il grande successo non hanno flirtato a lungo, nonostante l’immagine da bello e dannato e i numerosi pezzi orecchiabili inseriti nei suoi album. Infatti con il successivo Mainstream inizia la parabola discendente sia dal punto di vista del successo di pubblico e anche della qualità (per sentito dire, di questo disco conosco solo Jennifer, she said).
L’album successivo, in cui Lloyd non è accompagnato dai Commotions, è, però, un gran ritorno (a 3 anni dal precedente), aiutato da una produzione un po’ più spigolosa e dall’uso in primo piano delle chitarre di Robert Quine. Disco indimenticabile e senza titolo, soprattutto nella prima facciata dove si susseguono Don’t look back, la dura What do you know about love, la dichiarazione d’ intenti No blue skies, il capolavoro Loveless, l’urlo di Sweetheart, la calma di To the church e Downtown. Il disco non ha il successo di pubblico che meriterebbe, ma l’anno successivo con la stessa formazione incide la seconda facciata di Don’t get weird about me, babe, dove le asprezze sono solo nel singolo She’s a girl and I’m a man e le restanti canzoni mostrano sonorità quasi alla Byrds. La prima facciata, invece, è composta da pezzi orchestrati da Paul Buckmaster, che danno un’impressione di una certa pesantezza, pur contenendo i capolavori Man enough e What he doesn’t know.
Il disco successivo, Bad vibes è, invece, uno scivolone totale, con le sue pretese di omaggiare i Beatles più psichedelici e una produzione molto confusa di Bob Clearmountain. In copertina, un Lloyd Cole ancora più svogliato del solito, e nel CD, si salvano solo Morning is broken e Mister wrong. La copertina solare di Lovestory segna un mutamento di direzione, le ballate pop di Trigger happy, Sentimental fool, Like lovers do dominano il CD, che omaggia i Fab Four in una splendida Be There. Ed il tutto si chiude magnificamente con l’ armonica di For crying out loud, disperazione e rassegnazione. Per cinque anni Lloyd Cole non si fa sentire, e io continuo a consumare Love story. Nel 2000 esce The negatives, un disco con un nuovo gruppo, i cui brani soffusi sono facilmente dimenticabili.
E il mese scorso esce Music in a foreign language, CD registrato in casa, intimista e minimale. E un ottimo disco, nel primo mese di ascolto. Contiene una cover di People ain’t no good di Nick Cave, brani fischiettabili come la titletrack e Brazil, tristezze infinite come My other life e un insieme di canzoni ottime. Per riassumere, dottore, ecco la lista, in ordine di bellezza, dei dischi di Lloyd Cole che conosco e le sue dieci migliori canzoni, escludendo l’ultimo disco, troppo recente per averne un giudizio storicamente accettabile.




Un commento su “Il giorno dopo che il mio primo amore mi…”

  1. Non avrei mai pensato che esistessero estimatori di Lloyd ancora in vita… comunque Don’t Get Weird rimane il mio preferito. Ho masterizzato il vinile su CD un paio di anni fa e l’ho riascoltato con un bel mezzo chilo di nostalgia per mesi.

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