The byrds (1965 – 1968) …

The byrds (1965 – 1968)
È dall’attacco di Mr tambourine man, prima canzone del primo 33 e primo singolo, che tutti si accorgono che un nuovo suono si impossesserà del mondo del pop. Siamo di fronte alla nascita del folk rock: la mistura di vocalizzi alla Beach boys, armonie alla Beatles e parole di Bob Dylan lancia nell’olimpo delle classifiche un gruppo di giovani col caschetto: The byrds.
Gene Clark voce, Roger McGuinn e David Crosby chitarra, Chris Hillman basso e Michael Clarke batteria formano una classica formazione pop-rock, ma cosa li distingue da tutte le altre migliaia di boy band che nascono nel 1965?
Innanzitutto il suono: McGuinn leader e fondatore della formazione suona una Rickenbacker 12 corde e con questa intesse trame che richiamano direttamente il jingle – jangle della canzone di Bob Dylan, Crosby è capace di armonie vocali inspirate, fondendo tutti i membri del gruppo in cori al livello dei Beach boys, Clark è autore di canzoni pop perfette per la scalata delle classifiche, Hillman caratterizza in modo speciale il suo basso, molte volte portato quasi in primo piano; poi i testi, non ci sono molte formazioni pop che si avvalgono della scrittura allegorica di Dylan.
L’album Mr tambourine man (1965) è un capolavoro, della title track si può ancora dire che è meglio della versione di Dylan (essendo stravolta dal punto di vista ritmico), la successiva I’ll feel a whole lot better definisce lo standard per un singolo folk rock (esiste una versione copia carbone di Tom Petty in Full moon fever 1989), You won’t have to cry sono i Beatles con la 12 corde, ci sono Spanish Harlem incident, All I really want to do e Chimes of freedom di Dylan mentre It’s no use esplora territori più vicini al rock.
Il successivo Turn! Turn! Turn! (1966) ripercorre le strade dell’esordio, mescolando pezzi folk (title track di Pete Seeger testo dall’Ecclesiaste) e suggestioni rock. È sicuramente inferiore al precedente, ma il livello è sicuramente alto, confermando la maturità raggiunta da Clark nella scrittura di canzoni (Set you free this time, If you’re gone), la capacità del gruppo di rivitalizzare standard di Dylan (The times they are a-changin’) e rileggere pezzi tradizionali aprendo verso il country (He was a friend of mine). Purtroppo il disco risente delle pressioni della casa discografica per far uscire un clone di Mr tambourine man testimoniate da qualche riempitivo di troppo (Oh Susannah).
Ma il 1966 non è ancora finito e i Byrds hanno qualcos’altro da dire: il singolo Eight miles high esce tra lo stupore generale.
Che musica è questa?
Un intro di basso che ritmicamente dà il tempo ad una chitarra (è McGuinn, influenzato dai continui ascolti di John Coltrane e Raga indiani) che disegna geometrie schizoidi che in breve si perdono in una improvvisazione che si interrompe per fare partire le voci, è un coro di voci ieratiche parla di andare a 8 miglia di altezza, e ritornare giù in un mondo che non è più lo stesso, e poi non c’è ritornello, l’assolo di chitarra è ancora più sconvolto dell’intro, ma la melodia rientra sempre (è l’ultima scritta da Clark, che lascia il gruppo, incapace reggere i ritmi del successo) fino ad un finale ancora più insensato dell’inizio. A dispetto delle polemiche per il testo che allude alle droghe e alla musica che conferma quello che il testo solo accenna, Eight miles high è un capolavoro della migliore specie, quelli innovativi (e il suo sound verrà ripreso, come marchio di un epoca in You’re my drug in Psonic Psunspot (1987) dei Dukes of the stratosphear). A seguire esce Fifth dimension (1966) disco che mantiene le promesse della sua copertina: i quattro byrds superstiti stanno su un tappeto persiano che pare sospeso nel vuoto di un’oscurità impenetrabile. E dopo aver dato vita al folk rock, i quattro virano verso la psichedelia, il raga-rock o forse lo space rock. Dalla compattezza stilistica dei due album precedenti non è rimasto niente: la sperimentazione dello psycho-country della title track, il ricordo degli esordi con aggiunta di orchestrazioni di Wild mountain thyme e John Riley, lo spacepop di Mr spaceman, le inquietanti I see you (dove ritorna la chitarra improvvisa di McGuinn) e I come and stand at every door, l’esordio stupefacente (da molti punti di vista!) alla scrittura solista di Crosby in What’s happening?!?!, nessuna cover di Dylan (!), una strumentale psycho blues (Captain Soul) e una Hey Joe fatta a velocità missilistica. Quello che non manca mai è il riempitivo: 2-4-2 fox trot.
Il disco non va bene commercialmente come i precedenti, ma il gruppo, ormai dilaniato da lotte interne per la leadership, con Crosby da una parte e la coppia McGuinn Hillman dall’altra, sforna un altro capolavoro.
Younger than yesterday (1967) è il prodotto di un gruppo diviso, ma le lotte partoriscono una serie di canzoni indimenticabili (vi fa venire in l’album bianco, vero?). Si parte con So you want to be a rock’n’roll star singolo che è sopravvissuto senza nessun problema al logorio degli anni, che presenta la tromba di Hugh Masekela, impensabile per un singolo pop di quel periodo. Poi Have you seen her face, Time between, Thought and words(che contiene un assolo simil-sitar) e The girl with no nameche prefigurano la svolta successiva, guidata dalla penna bluegrass di Hillman, Renaissance fair (con un attacco a cui gli U2 di I still haven’t found devono più che un credit) e Why perle di quando McGuinn e Crosby si parlavano ancora e il twist per alieni di C.T.A. 102, la cover definitiva di My back pages di Dylan. Su questo gruppo di canzoni si è formata un’intera generazione di musicisti americani, quella che ha dominato la fine degli anni 80, che ha il suo nome più acclamato nei R.E.M., e da qui deriva anche l’amore per la melodia che emerge sotto il rumore degli Husker du. Ma sono le composizioni soliste di Crosby quelle che sorprendono maggiormente: Mind gardens sconvolge con le sue chitarre registrate alla rovescia per riprodurre gli strumenti indiani, e l’autore faticò non poco per far includere questo pezzo nell’album e, soprattutto, Everybody’s been burned la cui bellezza sofisticata e senza tempo colpisce in maniera indelebile, un pezzo che trascende i confini del genere, del tempo e dei gusti personali.
Durante le registrazioni di The notorius byrd brothers (1968), Crosby si presenta in studio con una nuova canzone, ma di questa McGuinn e Hillman non ne vogliono sapere, non la registreranno mai: non è né schizoide né ha parti registrate al contrario, è il testo che non va bene, parla di un triangolo amoroso senza scandali e sensi di colpa, è Triad (incisa poi dai Jefferson Airplane e inclusa in Four way street di CSN&Y). Il dissidio non è più appianabile, Crosby viene licenziato, e con lui se ne va il principale sostenitore della svolta psichedelica degli ultimi due album. In effetti l’album che esce è ancora intriso di sperimentazioni, anzi, forse è il più sperimentale di tutti, con le armonie confuse di Tribal gathering, il moog di Change is now e la psichedelia di Natural harmony e Space odissey, ma l’album suona datato, come se il tocco magico se ne fosse andato con la partenza di Crosby.
E allora un’altra svolta, con Sweetheart of the rodeo (1968) entra nella band un giovane Gram Parsons, che, insieme a Hillman, guida la band verso la creazione di un nuovo genere, il country-rock. Una slide guitar apre il disco con la splendida cover di You ain’t going nowhere di Dylan e prende il posto, con chitarre acustiche a scandire il ritmo, delle armonie con le 12 corde. Il disco soffre di una certa piattezza stilistica, anche se i pezzi sono piacevoli e le cover di rilievo (ad esempio You don’t miss your water e Pretty boy Floyd). Tutto risente del fatto che il più talentuoso nel genere affrontato è appunto il giovane appena arrivato Parsons e McGuinn non accetta di mollare la guida del gruppo, appena riconquistata mandando via Crosby. Quindi, dei vari pezzi di Gram, vengono tenute le ottime Hickory wind e One hundred years from now, mentre tutte le sue parti vocali vengono cancellate dalle session.
Alla pubblicazione del disco, Parsons e Hillman hanno lasciato il gruppo, andando coi Flying burrito brothers ad incidere il vero capolavoro del country rock The gilded palace of sin (1969), e McGuinn, rimasto da solo, continuerà per qualche hanno ad incidere dischi country con il marchio The byrds, piacevoli, ma superflui.

Un commento su “The byrds (1965 – 1968) …”

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.