The Rolling Stones (1966-1967)
Il 15 Aprile 1966 esce Aftermath, il primo long playing dei Rolling stones interamente firmato Jagger – Richard.
Le pietre rotolanti
sono un gruppo che, dopo aver iniziato come cover band di standard di blues e rock’n’roll (Come on, Not fade away, It’s all over now,
Time is on my side, Little red rooster) ha inanellato una serie di singoli strepitosi quali The last time, Satisfaction,
Get off of my clouds, 19th nervous breakdown, Paint it, black scritti tutti dalla coppia.
Ma il 1966 è l’anno in cui comincia ad
affermarsi il long playing come mezzo preferito di espressione per i gruppi pop-rock e Aftermath è il loro primo vero ellepì
dopo una serie di 33 giri che erano, più che altro, collane di singoli completati da rifacimenti di standard blues e dai primi esperimenti
di scrittura della coppia. Aftermath è un disco in cui l’energia dei singoli e la ruvidezza degli album precedenti viene armonizzata e stemperata
in un suono più pulito, dalle aperture pop, che ha il suo apice creativo in Lady Jane. Il blues non è più anfetaminico, veloce, urlato,
anzi viene dilatato in esperimenti che vanno fino agli 11 minuti di Goin’ home. La scrittura si fa più ironica (Mothers little helper),
più allusiva (Lady Jane), senza però rinunciare al maschilismo che tanto aveva caratterizzato l’immagine di successo del gruppo
(Under my thumb, Out of time, Stupid girl). Aftermath è sicuramente opera atipica per i Rolling Stones, ma pienamente riuscita.
Il
successivo Between the buttons prosegue sulla stessa scia, incrementando la dose di pop e ironia, virando verso un vaudeville, fatto di marcette
e scarse puntate nel rock’n’roll. Nulla è la presenza del blues, che sembra essere stato abbandonato dal quintetto. Jagger cerca di essere
più ricercato nei testi, mentre Richard pare disinteressarsi del gruppo, perso nelle prime sperimentazioni delle droghe e lontano dai
concerti, linfa dei rockers. Le uniche gemme sono su un singolo, non incluse nel long playing, facciata A: Let’s spend the night together.
Facciata B: Ruby Tuesday. In più, altre vicissitudini distraggono il gruppo: il 12 Febbraio 1967 la polizia fa irruzione nella villa di Keith
e lo arresta insieme a Jagger, il fotografo Michael Cooper e una poco vestita Marianne Faithfull. I nostri sono in pieno viaggio da LSD
accompagnato dalle note di Blonde on blonde e finiscono in carcere per quarantottore per possesso di droga. Vengono incriminati e subito
rilasciati, ma la compagna di stampa e dei colleghi musicisti (gli Who incisero alcune cover di loro canzoni per solidarietà ) a loro favore
e il rinvigorimento della fama di dannati sembra dare la scintilla per la ripresa della band. E invece i problemi non risiedono nella vita non
irreprensibile dei suoi componenti, ma nelle tensioni interne derivate dal raggiungimento della formula giusta per il successo della band.
Il sacrificato è Brian Jones, nei primi anni il leader intelettuale della band, che si sente escluso dal corso che hanno preso gli
eventi: il front man è indubbiamente Mick Jagger e il leader ‘nascosto’, l’indicatore della linea musicale è Keith Richard. Il piccolo biondo
si è ritagliato un ruolo di sperimentatore, di cesellatore, di polistrumentista esotico (sitar in Paint it, black, dulcimer in Lady Jane e poi
mellotron, sassofono etc…) importante ma non soddisfacente per l’ego di Brian Jones, che si rifugia in droghe, alcool e fantasie auto-annichilenti.
Il lavoro della band, con un elemento che fa le bizze, si impantana in sovraincisioni per supplire alla carenza di uno strumentista. Jagger
crede di essere Shelley, il 67 della psichedelia è in piena esplosione, i Beatles incidono Sgt Peppers e i Rolling stones Their satanic
majesties request.
Il confronto tra i due ellepi è
avvilente per i cinque londinesi, ma non tutto nel disco pretenzioso, tronfio e inconcludente
è da buttare. Innanzitutto 2000 light years from home e She’s a rainbow, due belle canzoni pop, impreziosite da arrangiamenti inusuali e
perfettamente calate nell’atmosfera psichedelia che nello stesso disco viene svilita dall’assenza di pathos nel gruppo. Poi il singolo We love you
con facciata b Dandelion, il valore di specchio distorto di una anno incredibile della storia della musica pop e infine l’unica canzone
scritta e cantata da Bill Wyman (Emulo di Richard Starkey?) In another land. Ciò non toglie che non si riesca mai ad ascoltare il disco
per intero, mentre per Between the buttons la cosa riesce per la leggerezza delle canzonette in esso contenute.
Alla fine del 1967 i Rolling
Stones sembrano aver perso tutta la loro energia, il treno della moda psichedelica lo hanno perso per incompatibilità , uno dei loro leader è
perso in crisi psicologiche, gli altri sono sempre sull’orlo di essere arrestati, quale futuro li aspetta?
Li aspettano Jimmy Miller, Jumpin’ Jack flash e Beggars banquet, dottori.
Questo post è per i peruviani di Solitaire e per le curiosità di atrocityexibition.
Grazie, Dottore (sarei anche un tantino vermìglia di vergogna…)!
…..considerando le prescrizioni che fornisci ai pazienti dovresti essere un Doc FeelGood. Continua.
Dottore…ormai stremata al 94%…Le chiedo di scrivermi… ^__^
illuminato, ringrazio. non è per andare controcorrente, però i loro dischi a cui sono più affezionato sono proprio aftermath, between the buttons e out of our heads. ciao! s
Inviata soluzione, dottoressa Solitaire.
grazie ne ho usufruito anch’io. qualcuno per favore mi dice chi sono i vengaboys??
Ah! Che aria salubre! Piacere immenso nel leggere questo post. Ma vogliamo dilungarci sul party a casa di Keith? Del Mars ne vogliamo parlare?
Ancora grazie, Dottor Zuck!
Non volevo scendere in particolari così scabrosi, dottor Gionspenser!!!